Definizione da manuale.
La mindfulness è una pratica consistente nel portare l’attenzione al momento presente, con intenzione e in maniera non giudicante (Kabat-Zinn, 2006). Migliorare questa modalità di prestare attenzione permette di cogliere, con maggiore prontezza, il sorgere di pensieri negativi che contribuiscono al malessere emotivo.In altri termini, prima di promuovere la messa in discussione delle convinzioni erronee o irrazionali che generano la sofferenza, il terapeuta agisce aiutando innanzitutto la persona a cambiare la relazione con i propri contenuti mentali. Si è arrivati ad osservare che gran parte della sofferenza dipende infatti dall’identificazione coi pensieri (“io sono i miei pensieri”, “i pensieri sono fatti”), mentre il primo passo verso il cambiamento avviene grazie ad un allontanamento cognitivo dalle esperienze che si impongono nel campo di coscienza (“io ho dei pensieri”, “i pensieri sono ipotesi”). Tale cambiamento genera la capacità flessibile di operare, quando necessario, un distacco dai contenuti mentali, che consente di osservarli con maggiore chiarezza. Questo distacco (detached mindfulness) diminuisce la reattività automatica che conduce ogni essere umano a profondere rapidi sforzi per evitare la sofferenza. Questi sforzi, ironicamente, possono essere di per sé apportatori di ulteriore sofferenza, poiché rimarcano l’inaccettabilità del momento presente e pongono gli obiettivi di felicità nel futuro. La mindfulness promuove esperienze di accoglimento del presente, di comprensione più ampia e delicata delle difficoltà e di tolleranza delle emozioni e delle percezioni negative quali esperienze da includere ed attraversare con equanimità nel proprio percorso esistenziale.
In realtà, mindfulness è un’etichetta vuota, come solo le parole riescono ad esserlo. Un foglio bianco. Cercare di identificare la mindfulness in qualcosa è fare esattamente il contrario di quello che la mindfulness si propone, ovvero dis-identificarsi, tra le altre cose, anche dai pensieri tra cui rientrano i concetti e le definizioni delle cose. Descrivere la mindfulness non è molto mindfull. L’unico modo per coglierne il senso è sperimentarla. Esiste solo nell’esperienza.
Per me, come professionista, è stata una delle esperienze più radicali, non fosse altro perché non conoscevo altro modo di rapportarmi dinanzi a intense emozioni o pensieri. Il fatto di fermarsi a contemplarli e vedere come fossero più da vicino è l’alternativa. Si possono semplicemente osservare i pensieri, le emozioni e il tempio in cui abitano, la mente e il corpo, questi sconosciuti. E il bello è che per rendersene conto non sono necessari complesse astrazioni filosofiche, ma solo un momento. Quel piccolo momento in cui si è qui, presenti a se stessi e presenti a quello che sta succedendo. E’ liberatorio, quando succede.
La mindfulness si è rivelata, nel mio percorso, una preziosa alleata in psicoterapia come nella vita. Ho avuto anche la possibilità di sperimentarla in diversi contesti aldilà dei percorsi formali, ovvero in terapia, in gruppi di meditazione e nei protocolli MBSR.
Inizialmente, durante i corsi, le emozioni prevalenti non a caso erano noia, rabbia e frustrazione, dovuta al fatto di non vedere subito dei risultati. Come se mi aspettassi un cambiamento più o meno grande nel tempo. Ma solo ora che la consapevolezza non è un mezzo ma un fine, essa comincia a diventare un mezzo. Davvero curioso. Quando si fa caciara con la mente e ci si divincola non si va da nessuna parte, ma quando inizia a sorgere il silenzio le cose cambiano, come in terapia. Ecco che in quel momento si manifesta quella quiete non fine a se stessa, ma derivante dalla visione chiara dell’accettazione. O meglio, dell’accogliere. E’ l’accogliere sé stessi una delle cose preziose che può dare la pratica, forse la più preziosa. L’accettazione vera di come si è, senza autoindulgenza, è uno dei più sinceri atti di compassione verso se stesso che un essere umano possa fare. E mi spingo oltre, dicendo che è anche una molla di grande potenza trasformativa e un punto di partenza per il cambiamento. Finchè non si accettano le proprie emozioni ci si batte titanicamente quanto inutilmente contro qualcuno che vince sempre perché non si stanca mai e diventa tanto più forte quanto più lo si combatte. Accoglierlo non sarà facile, ma diventa possibile solo quando si inizia a vederlo. Diventerà chiaro, allora, quanto quel gigante ci assomigli e quanto sarebbe saggio deporre le armi.
Non basta certo vedere le cose per cambiarle, beninteso. Ma resta essenziale osservarle, avvicinarsi ad esse per quanto possano essere fonte di dolore. Ma il dolore è momentaneo e siamo noi che lo trasformiamo in sofferenza continua.
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