L’accettazione radicale

Le modalità di gestire la sofferenza qui descritte sono parte di un percorso terapeutico e possono essere sviluppate adeguatamente con l’ausilio di un professionista. Detto questo, vediamo però alcuni consigli utile per poter gestire in autonomia emozioni intense nella quotidianità. Questi interventi si basano sulla terapia dialettico-comportamentale Linehan, in particolare sullo skills training e sono di comprovata efficacia.

L’abilità di oggi è l’accettazione radicale. Essa altro non è che l’accettazione completa e totale della realtà, ovvero riconoscere i fatti e smettere di combattere la realtà che non cambierà certo per questo.  Esso si basa su tre presupposti:

  1. La sofferenza non può essere rimossa dalla nostra vita. Il rifiuto della sofferenza è sterile e la amplifica e i tentativi di sfuggirne portano invariabilmente ad un suo incremento.
  2. La sofferenza può essere tollerata dalla persona e si possono sviluppare abilità per farlo. La tolleranza è la capacità di accettare una situazione dolorosa senza rifiutarla o aspettarsi che sia differente, oppure di sperimentare il proprio stato emotivo senza ostinarsi a cambiarlo o arrestarlo.
  3. Tollerare una situazione significa gestirla e non equivale ad una sua approvazione.

L’accettazione è una qualità dell’individuo maturo ed equilibrato ed è invece più scarsa nei bambini. E’ proprio un tipo di pensiero, un modo di porsi dinanzi agli eventi che ci rende più sani. Occorre riflettere sul fatto che rifiutare la realtà non serve a cambiarla e anche se reagendo opponendosi può farci sentire meglio in quel momento, alla lunga è disadattivo.

Esempio: Giulia è legata ad un compagno violento, con una dipendenza da alcool che va avanti da anni. Lei si rifiuta di lasciarlo e si è convinta che riuscirà a cambiarlo e a “salvarlo” dal bicchiere. Continua a nascondere le bottiglie di superalcolici e per questo il compagno spesso ne abusa verbalmente o fisicamente. Alle continue pressioni di amici e familiari affinchè rompa la relazione, lei risponde che è convinta che in lui in fondo ci sia del buono e che prima o poi apprezzerà i suoi sforzi per aiutarlo. Lei lo ama e sa che prima o poi questo sarà sufficiente a cambiare le cose. Questo comportamento, che si osserva frequentemente in donne sottoposte ad abuso cronico, è estremamente disfunzionale e favorisce nel tempo il peggioramento della relazione vittima-carnefice, portando ad un incremento degli abusi o nel migliore dei casi a nessun cambiamento della situazione.

Accettare la realtà può condurre alla libertà, intesa come libertà dall’impulso a sfuggire dal momento presente, cosa che invece porta all’amplificazione della sofferenza. Non è rassegnazione né approvazione ma visione lucida dello stato delle cose. Vediamo alcuni interventi che facilitano l’accettazione e quindi fanno diminuire la sofferenza.

– Ricordare a sé stessi che i fatti accaduti nel passato non si possono cambiare. Ostinarsi a rifiutarli non è saggio né utile.

– Focalizzarsi anche sul corpo. Nei momenti di crisi siamo abituati a concentrarci su cosa si verifica nella nostra testa. A volta la mente accetta ma il corpo no. Impariamo a spostare anche l’attenzione sul corpo e vedere cosa succede dentro di noi. Stiamo stringendo i pugni? Apriamo le mani come per accogliere. Stiamo corrugando la fronte? Rilassiamo i muscoli della fronte. Stiamo respirando affannosamente? Osserviamo il nostro respiro e lasciamo scorrere il momento. Le emozioni come iniziano, così finiscono.

– Pratichiamo l’azione opposto a quella che facciamo di solito.

– Ricordare che la vita è degna di essere vissuta malgrado la sofferenza esista e non tutto è sofferenza. Tutto ciò può sembrare una visione filosofica della vita e invece è un metodo pratico per gestire le nostre emozioni nel quotidiano. E in ogni caso, il modo in cui penso influenza il modo in cui mi sento.

Nei momenti di crisi è importante fermarsi e riflettere su cosa sta accadendo. Quando ci sentiamo pervasi da emozioni intense e pensieri negativi, tramite la terapia e l’esercizio, si sviluppano abilità nuove che permettono di uscire da questo circolo vizioso. La persona smette di pensare “perché proprio a me?” e inizia a capire quando non sta più accettando il momento presente. Uno degli interventi che si è rivelato più efficace per aumentare la consapevolezza del presente è la mindfuless, elemento centrale di molte psicoterapie.

Cosa ostacola l’accettazione e amplifica la sofferenza? L’ostinazione

Ostinazione intesa come rifiuto costante di accettare il presente e continuare a fare ciò che riteniamo giusto e non ciò che è efficace, ovvero ciò che ci aiuta. Cercare di controllare tutto e tutti è un tipico esempio di ostinazione. In sostanza è una fuga dalla sofferenza. Il contrario dell’ostinazione è la disponibilità. Disponibilità significa agire con saggezza accettando ciò che non può essere cambiato. Solo dopo è possibile impegnarsi per modificarlo concretamente. Ad ogni modo anche l’ostinazione va accettata. Sembra un paradosso, ma in realtà è un percorso lineare. Una menta aperta resta aperta anche se in alcuni momenti l’ostinazione sembra prevalere. Semplicemente, prendiamo atto del fatto che in questo momento proviamo un sentimento di ostilità e avversione verso ciò che ci sta accadendo, senza però amplificarlo. E quindi senza agire in modi che poi ci danneggiano, ad esempio mettendo in atto comportamenti reattivi e impulsivi.

Invece, se ci fermiamo ad osservare i nostri pensieri riduciamo i comportamenti reattivi problematici, ci decentriamo e prendiamo le distanze. Osservare i pensieri li rivela per ciò che sono: pensieri, concetti e non fatti incontrovertibili. E non sono sempre veri. Questo ci aiuta soprattutto quando abbiamo idee catastrofiche che ci incatenano alla negatività e di cui siamo convinti e che diamo per scontati. Ecco, ricordiamo che noi non siamo i nostri pensieri. I pensieri sono semplicemente un processo e non ci identificano per ciò che siamo. Così come nemmeno lo fanno i nostri comportamenti. In effetti, costruirci storie su chi siamo in realtà è necessario per avere una coerenza interna come esseri umani, ma può essere pericoloso se ci porta ad indentificarci troppo con le nostre idee, non mettendole in discussione e nascondendosi dietro il vecchio adagio: “sono così, non posso farci nulla”.

Dopo la terapia Giulia ha sviluppato nuovi modi di pensare. Ora non fugge più dalla sofferenza e si ferma ad osservarla con lucidità. Si lascia attraversare dai suoi pensieri. In questo modo ha imparato a guardare in faccia all’idea che il marito possa anche essere incapace di cambiare e che lei non possa aiutarlo. Accetta l’idea che il suo comportamento ha effetti limitati su chi ama. E che non sempre amare qualcuno corrisponde a stare bene. Questo l’ha poi portata a riconsiderare la sua situazione e a scegliere di allontanarsi per tutelare se stessa, mettendo al primo posto il suo benessere.